CONCORSO MAGISTRATURA 2018 - PROVA DIRITTO CIVILE - Traccia Centrata
Traccia di CIVILE: “Il principio consensualistico nella vendita e nell'appalto”.
PROVA DI DIRITTO CIVILE (24 GENNAIO 2018)
SCRITTI CONCORSO MAGISTRATURA 23, 24 e 26 GENNAIO 2018
L’argomento, un autentico classico del diritto civile, è stato affrontato ex professo in una lezione (non quest’anno) in cui sono stati sintetizzati i paragrafi del Trattato Fava di seguito indicati:
Fava, Il contratto (gli effetti del contratto obbligatori e reali)
Fava, Il contratto (principio consensualistico) (parte I)
Fava, Il contratto (eccezioni al principio consensualistico) (parte II)
Il principio consensualistico è poi stato ripreso in svariate occasioni nelle più recenti lezioni sul contratto ad oggetto futuro (nella quale sono state, tra l’altro, affrontate tutte le figure di vendita obbligatoria) e sul rent to buy (la cui ripetizione è stata raccomandata nel corso del rush finale), nonchè in quelle sugli atti dispositivi di beni immobili abusivi e sul contratto di leasing di godimento e traslativo.
L’istituto è affrontato anche negli altri testi consigliati per l’approfondimento tra cui si segnalano:
- Calvo, La vendita, pag. 28-62 (capitolo sull’effetto traslativo) e, per il contratto di appalto, Calvo, Gli altri contratti speciali, pag. 3-14 (paragrafi sulla distinzione tra vendita e appalto e il rischio dell’affare)
SPECIFICAZIONI SINTETICHE DEL CONTENUTO DELLE LEZIONI (CON RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI E DOTTRINALI) – NON SI TRATTA DI UNO SCHEMA DI SVOLGIMENTO DELLA TRACCIA MA DI CIO’ CHE E’ STATO AFFRONTATO A LEZIONE
1. SINTESI STORICO-COMPARATA DEL PRINCIPIO CONSENSUALISTICO (per maggiori approfondimenti si rinvia agli estratti allegati alla presente pagina: Fava, Il contratto)
Il principio consensualistico, ovverosia il meccanismo legale che fissa la produzione degli effetti reali (traslativi) del contratto al tempo dell’accordo, con conseguenziali ricadute sul c.d. “passaggio del rischio” (da perimento o danneggiamento della res), è stato sviscerato nelle sue origini storiche e comparate.
Il sistema italiano, sulla falsariga di quello del Codice francese del 1804 (a sua volta influenzato dalle correnti giusnaturalistiche esaltanti la forza creatrice della volontà e, dal punto di vista operativo, dalle invalse prassi negoziali sulla c.d. clausola desaìssine-saìssine), ha recepito il principio prima nell’art. 1125 del Codice Pisanelli del 1865 e poi nell’art. 1376 del Codice civile del 1942.
Il sistema tedesco, pur esaltando il ruolo sovrano della volontà umana, similmente all’esperienza prussiana, austriaca e svizzera, non seguì il modello franco-italiano, rimanendo fedele alla tradizione romanistica della scissione tra titulus e modus adquirendi.
L’evoluzione del sistema anglosassone ha determinato, invece, il consolidamento del principio secondo il quale il momento in cui si verifica il trasferimento della proprietà è rimesso alle libere determinazioni dei contraenti.
2. ASSETTO DEL PRINCIPIO CONSENSUALISTICO NEL DIRITTO VIGENTE (per maggiori approfondimenti si rinvia agli estratti allegati alla presente pagina: Fava, Il contratto)
Venendo al diritto vigente, il principio consensualistico è stato esaminato con riguardo alla vendita (regime generale del Codice civile, quello del Codice del consumo, quello risultante dalla Convenzione internazionale di Vienna dell’11 aprile 1980 e persino il regime della vendita forzata di beni soggetti a espropriazione) e alle principali fattispecie contrattuali (appalto, mandato senza rappresentanza, contratto di lavoro subordinato, società, cessione del credito e di titoli di credito).
Sono state poi esaminate le eccezioni alla regola del consenso traslativo: 1) quelle apparenti (termine iniziale, condizione sospensiva, ripetizione del contratto, vendita di cosa altrui, vendita di cosa futura, alienazione di cose individuate solo nel generale, alienazione alternativa), 2) quelle legali (garanzie reali e sistema tavolare) e 3) quelle volontarie (obbligazione di dare).
Particolare attenzione è stata riposta alla derogabilità convenzionale del principio consensualistico, esclusa dall’indirizzo tradizionale risalente (in ragione della pretesa natura di ordine pubblico della regola promanante dall’art. 1376 c.c.) e ammessa da quello progressista attualmente prevalente (la dottrina più autorevole, a sostegno delle proprie tesi, ha richiamato, tra i precedenti giurisprudenziali più recenti, Cass., 26 maggio 2004, n. 10142; Cass., 20 aprile 1994, n. 3741; Cass., 28 ottobre 1993, n. 10716).
Tutte le fattispecie di c.d. vendite ad effetti obbligatori e reali differiti (vendita con riserva della proprietà, di cosa futura e di cosa altrui, vendita alternativa o di genere) sono state affrontate in svariate lezioni durate diverse ore, descrivendosi, tra l’altro, le peculiari caratteristiche che connotano l’operatività del principio consensualistico in relazione a tali figure.
3. IL PRINCIPIO CONSENSUALISTICO TRA VENDITA E APPALTO ALLA LUCE DEGLI ORIENTAMENTI DOTTRINALI E GIURISPRUDENZIALI
Con particolare riguardo alla differenza tra vendita di cosa futura e appalto con funzione traslativa sono state sinteticamente esaminate tutte le ipotesi concrete alla luce degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali.
Dottrina e giurisprudenza ammettono pacificamente che la funzione traslativa sia compatibile con l’appalto, il quale produce così un effetto complesso. Il contratto di appalto, in tal modo, produce un effetto reale a titolo derivativo come conseguenza del corretto adempimento dell’obbligazione di fare assunta dall’appaltatore. Si sovrappone così alla prestazione di fare un’obbligazione di dare che rinviene nel contratto di appalto la propria causa giustificatrice (l’appalto è titolo giuridico dello spostamento patrimoniale).
SITUAZIONE N. 1 – Nulla quaestio ove l’appaltatore realizzi l’opus utilizzando materiali forniti dal committente. Qui la proprietà dei materiali è del committente, il quale acquista gradualmente la proprietà anche sull’opus (generalmente si esclude l’operatività dell’istituto della specificazione ex art. 940 c.c. perché la trasformazione della materia avviene nell’interesse del dominus in adempimento di un rapporto negoziale preesistente). Secondo un autorevole e risalente orientamento dottrinale bisognerebbe distinguere a seconda del se le cose siano fungibili o infungibili: nel primo caso l’appaltatore sarebbe legittimato a disporne nomine proprio, salvo l’obbligo di sostituirle ove occorrano per l’esecuzione dell’opera o per la restituzione per terminazione o scioglimento del contratto (si realizzerebbe un meccanismo traslativo simile al deposito irregolare definito “locazione d’opera irregolare”); nella seconda ipotesi il committente ne conserverebbe la proprietà (l’appaltatore, a seguito della consegna, ne diverrebbe custode). La dottrina più recente ha sottoposto a revisione critica l’indirizzo tradizionale espresso con riguardo alla locazione d’opera irregolare identificando il momento del trasferimento della proprietà in capo all’appaltante con l’atto dispositivo; prima di tale momento l’appaltatore avrebbe esclusivamente una mera legittimazione a vendere non essendo ancora pienamente titolare del bene. La giurisprudenza di legittimità ha poi precisato che l’appaltatore risponde delle cose consegnategli dal committente anche dopo lo scioglimento del contratto e fino a che non le abbia restituite al dominus (Cass., 30 settembre 2009, n. 20995).
SITUAZIONE N. 2 –Non sussistono particolari contrasti interpretativi nelle ipotesi di costruzione di immobili, ove l’edificazione avvenga sul suolo del committente. Qui si afferma che l’acquisto della proprietà sull’opus avviene gradualmente attraverso il principio di accessione (art. 934 c.c.).
SITUAZIONE N. 3 (PROBLEMATICA) -Se i materiali con cui si realizza la cosa (da non confondere con i mezzi necessari all’esecuzione dell’appalto) sono dell’appaltatore la proprietà si acquista con l’accettazione. Ove si tratti di beni mobili non sorgono particolari problemi ai fini della validità e opponibilità della pattuizione.
SITUAZIONE N. 4 (PROBLEMATICA) -Anche ove il suolo su cui si edifichi sia dell’appaltatore si pone la questione di identificare il momento del trasferimento della proprietà. Secondo la dottrina prevalente deve coincidere con l’accettazione perché essa segna anche il passaggio del rischio del perimento e deterioramento del bene (“se, per causa non imputabile ad alcuna delle parti, l’opera perisce o è deteriorata prima che sia accettata dal committente o prima che il committente sia in mora a verificarla, il perimento o il deterioramento è a carico dell’appaltatore, qualora questi abbia fornito la materia” – art. 1673, comma 1, c.c.). Qui si ritiene che la proprietà venga acquistata a titolo originario dall’appaltatore (e ciò anche ove i materiali appartengano al committente) per accessione (art. 935 c.c.) e trasferita a titolo derivativo al committente in virtù dell’accettazione (il titolo giuridico del trasferimento è l’appalto senza necessità di dover stipulare un ulteriore contratto, pur se l’effetto traslativo scaturisce dall’accettazione dell’opus). In tale ipotesi è necessario che l’appalto rivesta forma scritta a pena di nullità e venga trascritto ai fini dell’opponibilità erga omnes (circa il momento della trascrizione è discusso se essa debba intervenire immediatamente o se si debba attendere il prodursi dell’effetto reale con l’accettazione). Autorevole dottrina, peraltro, evidenzia che anche l’accettazione, attesa la sua centralità nella produzione dell’effetto traslativo, dovrebbe essere redatta per iscritto e annotata a margine della trascrizione principale (art. 2654, comma 1, c.c.). Chiaramente le parti possono superare in radice tali problematiche trasferendo la proprietà del suolo al committente che acquisterà il bene a titolo originario per accessione (rientrandosi così nell’ipotesi sovra esaminata).
Nelle ipotesi di materiali e suolo dell’appaltatore (nel c.d. “appalto traslativo” – SITUAZIONI N. 3 E 4), dunque, la priorità dell’accettazione sulla consegna determinerebbe, secondo autorevole dottrina, una deroga al principio consensualistico, in considerazione del fatto che ben potrebbe ammettersi che la proprietà transiti gradualmente nel patrimonio del committente man mano che si procede alla realizzazione dell’opera (art. 1376 c.c.).
In tali ipotesi, dal punto di vista del passaggio del rischio, quindi, ove l’accettazione non sia ancora intervenuta, esso grava sull’appaltatore, mentre ove l’accettazione sia compiuta esso transita nella sfera del committente, anche se la consegna non sia stata ancora effettuata (dovendo in tale situazione l’altra parte comunque curare la custodia diligente dell’opera).
L’effetto reale, dunque, si riferisce al trasferimento al committente del suolo dell’appaltatore unitamente all’opus (costruita con materiali forniti dal committente) e/o dell’opera (realizzata con materiali propri dell’appaltatore).
In tali ipotesi è difficile decidere (ed è compito del giudice del merito in caso di dubbio qualificare la fattispecie ove essa non presenti una struttura chiara e autoqualificante) se via sia un appalto con funzione traslativa o una vendita di cosa futura con appalto (questione rilevante nella pratica anche per identificare il regime giuridico che governa i rimedi a disposizione della parte in caso di difetti: se cioè debbano applicarsi gli art. 1667 e 1669 c.c. o l’art. 1495 c.c.).
Nel corso della lezione sono stati delineati i criteri identificati da giurisprudenza e dottrina:
1) criterio della volontà delle parti (chiara emersione dell’accordo finalizzato prevalentemente o esclusivamente al trasferimento o, all’opposto, alla produzione dell’opera); per la tesi giurisprudenziale del c.d. “interesse prevalente” Cass., 20 novembre 2012, n. 20301 e i precedenti di seguito indicati; autorevole dottrina ha osservato che onde decodificare esattamente l’animus contrahendi, “cui occorrerebbe risalire al fine di decifrare il rebus dell’interesse maggiormente rilevante”, il “diritto giudiziale” ha definito “canoni interpretativi ancorati a elementi sintomatici dell’interesse di volta in volta prevalente, fra cui svetta quello legato alla natura seriale o, all’opposto, singolare del bene oggetto del contratto. La chiave di lettura è dunque rappresentata dal normale processo produttivo dell’imprenditore, di guisa che prevarrà il fare sul dare qualora egli, allo scopo di eseguire la res promessa, sia tenuto a predisporre non marginali modifiche alla propria organizzazione. Per contro l’uniformazione all’id quod plerumque accidit dimostra che signoreggia lo scambio” (Calvo., Gli altri contratti speciali, 10)
2) criterio dell’accessorietà (onde verificare quale sia la prestazione principale e quale quella accessoria: vi sarebbe vendita ove la prestazione principale sia quella traslativa);
3) criterio della “normale produzione” [non vi sarebbe appalto bensì vendita ove l’oggetto costituisca la ordinaria e normale attività del fornitore; la qualità di costruttore immobiliare, invece, potrebbe deporre nel senso dell’appalto; vi sarebbe appalto ove la cosa prodotta sia il frutto di specifica richiesta del committente mentre vi sarebbe vendita ove la cosa sia realizzata per autonoma iniziativa, come accade rispettivamente nella produzione di auto su ordinazione (appalto) o in serie (vendita)];
4) criterio dell’interferenza del committente (il cui carattere elevato e continuo potrebbe essere una spia della presenza di un appalto).
A fronte dei variegati orientamenti dottrinali, la giurisprudenza di legittimità ha applicato, a seconda delle ipotesi, il criterio della volontà, quello della prevalenza del lavoro sulla materia o quello della produzione ordinaria, talvolta anche ricorrendo ad essi in modo cumulativo.
“Ai fini della qualificazione come compravendita anziché come appalto di un contratto che abbia per oggetto la pavimentazione in gomma di un locale con fornitura del materiale, non sono elementi decisivi né il fatto che il destinatario della prestazione abbia acquistato il materiale senza interessarsi del processo produttivo di esso, né il fatto che il costo del materiale sia alquanto superiore a quello della messa in opera, ben potendo l’obbligazione di fare assumere importanza determinante rispetto a quella di dare nonostante il particolare pregio dei materiali impiegati” (Cass., 10 giugno 1966, n. 1527);
“Con riguardo al contratto avente ad oggetto la costruzione ed installazione di un impianto, la configurabilità di una vendita di cosa futura, anziché di un appalto, ove le parti abbiano considerato l’attività produttiva come mero strumento per ottenere il bene da trasferire, va riconosciuta non soltanto quando detto impianto configuri un prodotto strettamente di serie del venditore, ma anche quando, pur rientrando nella sua normale attività e non richiedendo modifiche della sua organizzazione imprenditoriale, debba presentare caratteristiche e qualità specifiche, con riguardo al compratore, ed espressamente promesse dal venditore medesimo, sì da giustificare, in caso di mancanza, la risoluzione a norma dell’art. 1497 c.c.” (Cass., sez. un., 17 febbraio 1983, n. 1196);
“Ai fini della distinzione fra vendita ed appalto, in casi in cui la prestazione di una parte consiste sia in un dare che in un fare, occorre avere riguardo allo scopo essenziale del negozio ed al significato che, in relazione ad esso, la fornitura della materia e la prestazione d’opera assumono nella comune intenzione delle parti, in vista del risultato che essi tendono a conseguire. Si configura, pertanto, non una vendita, ma un appalto allorché la prestazione della materia costituisce un semplice mezzo per la produzione di un’opera che sia lo scopo essenziale del negozio, di modo che le modifiche da apportare a cose, pur rientranti nella normale attività produttiva dell’imprenditore che si obbliga a fornirle ad altri, consistono non già in accorgimenti marginali e secondari diretti ad adattarle alle specifiche esigenze del destinatario della prestazione, ma siano tali da dar luogo ad un “opus perfectum” di valore determinante al fine del risultato da fornire alla controparte” (Cass., sez. un., 9 giugno 1992, n. 7073);
“Ai fini della differenziazione tra i contratti di appalto e vendita, quando alla prestazione di fare caratterizzante l’appalto, si affianchi anche a quella di dare, caratterizzante la vendita (come nella ipotesi in cui i materiali siano forniti dallo stesso appaltatore), si deve avere riguardo alla prevalenza o meno del lavoro sulla materia, da considerarsi, però, non in senso oggettivo, ma in relazione alla volontà dei contraenti, al fine di accertare, nei singoli casi, se la somministrazione della materia sia un semplice mezzo per la produzione dell’opera ed il lavoro lo scopo del negozio (appalto) oppure se il lavoro sia il mezzo per la trasformazione della materia ed il conseguimento della cosa si configuri invece come l’effettiva finalità del negozio medesimo (vendita)” (Cass., 2 agosto 2002, n. 11602);
“Ai fini della differenziazione tra i contratti di appalto e di vendita (di cosa futura), costituisce criterio fondamentale quello della prevalenza o meno del lavoro sulla fornitura della materia, mentre il riferimento alla comune intenzione delle parti rappresenta criterio suppletivo” (Cass., 20 aprile 2006, n. 9320);
Spesso, con riguardo alla fornitura di cose mobili, la giurisprudenza considerato rilevante l’indagine sull’attività richiesta dal committente qualificando l’accordo come vendita ove il bene rientrasse nell’ordinaria produzione, anche se fossero state richieste marginali e secondarie variazioni e modifiche, come appalto, ove, invece, fosse necessario un’attività produttiva finalizzata a tenere conto delle specifiche finalità del committente, anche attraverso la consegna di un progetto da realizzare.
“È da qualificarsi contratto di appalto e non vendita di cosa futura il contratto con cui un imprenditore si obbliga a fornire ad un altro soggetto manufatti che rientrano nella propria normale attività produttiva apportando ad essi modifiche consistenti non in semplici accorgimenti tecnici marginali e secondari diretti ad adattare il prodotto alle specifiche esigenze dell’acquirente ma tali da dar luogo ad un prodotto diverso, nella sua essenza, da quello realizzato normalmente dal fornitore e richiedente altresì un cambiamento dei mezzi di produzione predisposti per la lavorazione in serie, vale a dire un’attività di progettazione e assembramento dei pezzi, compiuta dal personale della impresa con attrezzature idonee allo scopo, con rilevante incidenza del costo del lavoro ed assunzione da parte del fornitore medesimo della piena responsabilità del progetto e dell’esecuzione delle opere a lui affidate” (Cass., 8 settembre 1994, n. 7697);
“È configurabile un contratto di appalto quando le modifiche da apportare a cose, pur rientranti nella normale attività produttiva dell’imprenditore che si obbliga a fornirle ad altri, consistono non già in accorgimenti secondari e marginali diretti ad adattarle alle specifiche esigenze del destinatario della prestazione, ma siano tali da dare luogo ad un “opus perfectum” di valore determinante al fine del risultato da fornire alla controparte” (Cass., 27 dicembre 1996, n. 11522);
“La distinzione tra vendita e appalto, nei casi in cui la prestazione di una parte consista sia in un dare, sia in un “facere”, non si esaurisce nel dato meramente oggettivo del raffronto fra il valore della materia e il valore della prestazione d’opera, essendo, all’uopo, necessario avere riguardo alla volontà dei contraenti, per cui si ha appalto quando la prestazione della materia costituisce un mezzo per la produzione dell’opera ed il lavoro è lo scopo essenziale del negozio, in modo che le modifiche da apportare alle cose, pur rientranti nella normale attività produttiva del soggetto che si obblighi a fornirle ad altri, consistono non già in accorgimenti marginali e secondari diretti ad adattarle alle specifiche esigenze del destinatario della prestazione, ma sono tali da dare luogo ad un “opus perfectum”, inteso come effettivo e voluto risultato della prestazione (nella specie la sentenza impugnata, confermata dalla Corte di cassazione, aveva qualificato come appalto il contratto con il quale, oltre alla completa fornitura dell’arredamento necessario all’installazione di un bar pasticceria, si prevedeva anche e soprattutto un’attività di progettazione, di direzione nonché di esecuzione dei lavori da parte dell’obbligato, che si sarebbe potuto servire, a sua volta, anche di altre ditte, rimanendo, peraltro, sempre personalmente responsabile verso il committente)” (Cass. 21 giugno 2000, n. 8445);
“Si ha contratto di appalto e non di vendita quando la prestazione della materia costituisce un semplice mezzo per la produzione dell’opera ed il lavoro è lo scopo essenziale del negozio, in modo che le modifiche da apportare a cose, pur rientranti nella normale attività produttiva dell’imprenditore che si obbliga a fornirle ad altri, consistono non già in accorgimenti marginali e secondari diretti ad adattarle alle specifiche esigenze del destinatario della prestazione, ma sono tali da dar luogo ad un “opus perfectum”, inteso come effettivo e voluto risultato della prestazione e configurato in modo che la prestazione d’opera assuma, non tanto per l’aspetto quantitativo, quanto piuttosto sul piano qualitativo e sotto il profilo teleologico, valore determinante al fine del risultato da fornire alla controparte” (Cass., 21 maggio 2001, n. 6925);
“In tema di interpretazione del contratto, la pattuizione con la quale una parte consegni all’altra un progetto artigianale ed approssimativo, sulla base del quale realizzare, a mezzo di propri tecnici, di personale specializzato ed in autonomia, un prodotto in serie destinato alla commercializzazione (nella specie, sedie), dev’essere qualificata come appalto e non come vendita su campione, non potendo un tale progetto fungere da campione ovvero da esemplare (appartenente al genere oggetto della vendita) idoneo a servire da modello per il controllo della conformità della cosa consegnata a quella pattuita, né come appalto “a regia”, tenuto conto della piena autonomia dell’appaltatore nell’esecuzione della prestazione” (Cass., 20 febbraio 2008, n. 4364);
Altra ipotesi classica e molto frequente è certamente quella relativa alla costruzione di beni immobili sul suolo del costruttore. Sovente si utilizza la tecnica negoziale della vendita di cosa futura, ma le parti ricorrono spesso anche all’appalto (che deve rivestire forma scritta a pena di nullità ed essere trascritto ai fini dell’opponibilità) ove sia prevista un’attività di controllo, vigilanza, direzione del committente che abbia ordinato all’appaltatore la realizzazione dell’opera che, nella volontà delle parti, sia prevalente rispetto alla prestazione traslativa della proprietà del suolo. Sono possibili, tuttavia, anche altre varianti contrattuali (vendita di cosa presente, appalto e divisione di cosa futura in collegamento negoziale).
Della fattispecie si sono occupate anche le Sezioni unite della Corte di cassazione:
“Il contratto riguardante la cessione di un fabbricato non ancora realizzato, con previsione dell’obbligo del cedente – che sia proprietario anche del terreno su cui l’erigendo fabbricato insisterà – di eseguire i lavori necessari al fine di completare il bene e di renderlo idoneo al godimento, può integrare alternativamente tanto gli estremi della vendita di una cosa futura (verificandosi allora l’effetto traslativo nel momento in cui il bene viene ad esistenza nella sua completezza), quanto quelli del negozio misto, caratterizzato da elementi propri della vendita di cosa presente (il suolo, con conseguente effetto traslativo immediato dello stesso) e dell’appalto, a seconda che assuma rilievo centrale, nel sinallagma contrattuale, l’intento delle parti avente ad oggetto il conseguimento della proprietà dell’immobile completato ovvero il trasferimento della proprietà attuale del suolo e l’attività realizzatrice dell’opera da parte del cedente, a proprio rischio e con la propria organizzazione” (Cass., sez. un., 12 maggio 2008, n. 11656);
“Ai fini della qualificazione in termini di “contratto di vendita di cosa futura” della vendita di immobile da costruire su fondo di proprietà del cedente, il quale si assume la realizzazione dell’opera a proprio rischio e con la propria organizzazione, non costituiscono ostacolo, in favore della diversa qualificazione di contratto misto di vendita (del suolo) ed appalto (dell’opera da costruire), i seguenti elementi del contenuto contrattuale: a) la previsione del pagamento di un acconto sul prezzo finale (contrariamente, invece, alla previsione di acconti in corso d’opera in relazione a stati di avanzamento dei lavori, propri dell’appalto e, come tali, giustificabili in virtù di una parziale esecuzione dell’oggetto del contratto, mentre nella vendita di cosa futura l’adempimento dell’alienante si realizza esclusivamente con il completamento del bene); b) la previsione di un termine di ultimazione dei lavori, giacché il contratto di vendita di cosa futura prevede pur sempre come attività accessoria quella della realizzazione dell’opera da parte dell’alienante; c) la previsione dell’obbligo dell’alienante di realizzare l’opera “a perfetta regola d’arte”, in quanto anche nella vendita di cosa futura devono essere preventivamente individuate le caratteristiche tecniche dell’opera medesima” (Cass., sez. un., 12 maggio 2008, n. 11656).
Nel caso degli appalti immobiliari deve essere presente, a pena di nullità, il titolo edilizio. La giurisprudenza di legittimità si è occupata di recente anche di una fattispecie molto peculiare in cui si è affermata la validità sopravvenuta di un contratto di appalto immobiliare originariamente nullo per impossibilità giuridica dell’oggetto ove il titolo edilizio, assente al tempo del perfezionamento del contratto di appalto, sia sopravvenuto prima dell’inizio dei lavori (Cass., 9 ottobre 2014, n. 21350). La dottrina più autorevole, commentando favorevolmente la pronuncia, ha osservato che “si assiste in tale ultima eventualità a una straordinaria sanatoria in itinere del rapporto non istantaneo, che elimina la causa invalidante prima che il vincolo di durata sia portato a termine o, per meglio dire, prima che sia stata attuata la condotta generatrice l’allarme sociale imputabile all’esercizio illegale del ius aedificandi (potremmo anche parlare di validità sopravvenuta). L’interpretazione ha un suo fondamento logico: se è vero che la nullità dipende dalla violazione di regole di ordine pubblico votate alla tutela del territorio e del suo razionale sfruttamento edilizio, pare allora non irragionevole ravvisare iure privatorum la caducazione della patologia quando, per effetto del sopraggiunto rilascio del permesso, sia venuto meno l’allarme sociale provocato dal pericolo di abuso edilizio tenuto conto che, di fatto, non è stata posta in essere alcuna condotta abusiva” (Calvo, Gli altri contratti speciali, pag. 7).
ULTERIORI PROFILI
-Per completare i riferimenti sintetici a quanto spiegato nel corso delle lezioni giova segnalare che, nella trattazione del rent to buy, anche al fine di ricostruzione la natura giuridica dell’istituto, sono state esaminate le fattispecie della vendita in forma di locazione e della locazione convertibile in vendita, del leasing traslativo, dell’opzione di vendita, del preliminare unilaterale di vendita, della vendita con patto di riscatto e della vendita sotto condizione risolutiva dell’inadempimento del compratore.
-Molto interessante anche la questione dell’operatività del principio consensualistico e del passaggio del rischio nel contratto di vendita con trasporto (qui si sarebbe potuto fare un sintetico riferimento anche alla recente sentenza delle Sezioni unite sul contratto di handling aeroportuale, il cui studio è stato raccomandato nel corso delle lezioni integrative di dicembre e durante il rush finale di gennaio, contratto atipico ricondotto da un certo orientamento all’appalto di servizi). Per la trattazione del contratto di “vendita di cose da trasportare” Calvo, La vendita, pag. 59-62.
-Particolare attenzione è stata poi prestata alla posizione delle parti a seguito dello scambio dei consensi al fine di identificare i rimedi giuridici di tutela reale e/o obbligatoria utilizzabili dal dante causa e dall’avente causa.
-Ha formato altresì oggetto di lezione anche la tematica connessa, etichettata da una parte della dottrina “blocco pattizio a monte al principio consensualistico”, ovverosia della paralisi in radice della libera disponibilità dei beni attraverso divieti convenzionali e testamentari di alienazione.
Pagina creata il 24 gennaio 2018, ore 17:13
(le presenti indicazioni ed i collegamenti tra gli istituti giuridici sovra menzionati sono creazione originale e riservata protetta dal diritto d’autore)